URARE LA DIPENDENZA: una premessa.
Perché curarsi quando si è dentro un meccanismo di dipendenza?
Perché ciascuno di noi ha il diritto di essere veramente libero e non soffocato da dinamiche o gesti che si ripetono e che tengono al guinzaglio.
Questa è solo una premessa, ma è anche la promessa che il cambiamento può avvenire…
Uscirne è lungo e difficile, ma si può!
Quante volte i miei pazienti, rispetto al loro problema di dipendenza, hanno detto: “Tanto lo posso gestire! Ma figurati, posso farcela da solo!”.
Ho visto molte persone soffocate dalla schiavitù della dipendenza non chiedere aiuto per colpa di queste parole.
Si può tornare a “respirare” dopo lunghi anni di oppressione, ma mai camminando da soli. Chiedere aiuto è il gesto più coraggioso che si può fare, ed un adeguato contesto di cura è lo strumento più importante che si deve cercare.
Essere dipendenti vuol dire avere un bisogno psicofisico incontrollabile di assumere un comportamento compulsivo; vuol dire far ruotare tutta la propria vita intorno al pensiero e all’uso di una sostanza o alla ripetizione di un comportamento; vuol dire mettere in secondo piano le relazioni più importanti e non essere liberi di esprimere la propria individualità.
Curare la dipendenza è importante perché è difficile stare bene quando si vive in balia delle proprie emozioni e si perde la possibilità e la libertà di decidere della propria vita.
Con il tempo la dipendenza conduce al deterioramento delle relazioni con amici e familiari, all’incapacità di fare scelte consapevoli e responsabili, a sbalzi d’umore destabilizzanti e, in definitiva, alla perdita d’interesse per la vita.
Chi è all’interno del circuito della dipendenza, qualsiasi essa sia, per molto tempo non ne è consapevole ed è convinto di avere la situazione sotto controllo. Frequentare altre persone che hanno comportamenti simili, inoltre, tende a normalizzare quello che in realtà è un disturbo: quante volte ho sentito dire “non è un problema, nel mio ambiente lo fanno tutti…”.
Ecco perché, in molti casi, segnali di allarme arrivano da altri: da partner, da amici, da parenti oppure da colleghi che si accorgono che qualcosa è cambiato, che qualcosa non sta funzionando.
Ed è in questo momento che, chi è vittima del meccanismo di dipendenza, può avere due differenti reazioni.
Una è quella di Negare: la luna di miele non è ancora finita, la sostanza o il comportamento da cui si dipende è ancora un amante perfetto, non ha ancora svelato le sue trappole e non ha fatto emergere i risvolti negativi. In questo caso, probabilmente, non si è ancora pronti per arrivare alla cura.
La seconda reazione è Ammettere: nella maggior parte dei casi è una liberazione. Finalmente qualcuno si accorge del pantano in cui la persona dipendente è intrappolata. Finalmente ci si può affidare ad una terapia e iniziare a guardare onestamente il problema.
Sia chi è vittima di una dipendenza, sia chi gli sta vicino non deve cadere nella disillusione del “non c’è nulla da fare, tanto non si guarisce”. Non è così. Una dipendenza patologica è una situazione sempre molto grave e pericolosa, ma è una condizione dalla quale si può uscire, si deve guarire.
La prima cosa da fare è essere aiutati a capire meglio. Uscire dal tunnel si può, ma non da soli. Ciò da cui si è irresistibilmente attratti tende ad essere un nemico ingannevole, difficile da combattere con le sole proprie forze.
Un terapeuta che conosce i trabocchetti della dipendenza può accompagnare nel percorso verso la libertà e l’autonomia, attraverso l’ascolto non giudicante, la comprensione, l’autorevolezza e l’esperienza. Ma non solo. Un terapeuta che si occupa di trattare una dipendenza patologica deve avere una lunga esperienza nel settore e deve appartenere ad un contesto di cura più ampio.
Sono molti anni che lavoro in questo ambito e so che il percorso di guarigione è lungo, è ricco di curve, di salite e di discese. Molto spesso è fondamentale un lavoro di squadra con altri specialisti del settore (psichiatri, farmacologi, educatori, Cliniche di Disintossicazione, Centri Crisi, Comunità, ecc.). Questa è la modalità di cura che sostengo.
Ci tengo a parlare di dipendenza in senso generale, perché non si deve mai mirare a eliminare solo il sintomo (la droga, il comportamento, la compulsione, o qualsiasi esso sia, ecc.), ma si deve agire sul senso patologico che sta dietro l’uso o l’abuso tossicomanico e quindi dipendente.
Inoltre la dipendenza è contagiosa: se non se ne estirpano le radici, si propaga e si attacca come un parassita infestante.
La guarigione arriva, anche se il percorso è faticoso…
Iniziare è difficile perché richiede di mettersi in gioco, di guardarsi allo specchio, ma, una volta iniziato, quasi tutti si chiedono: ma perché non l’ho fatto prima?
Puoi Ascoltarlo anche in podcast

- Ep. #7 CURA 4.0: L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE E LA REALTA’ VIRTUALE NEL TRATTAMENTO DELLE DIPENDENZE PATOLOGICHE.
- Ep. #6 LA DIPENDENZA AFFETTIVA: AMMALARSI DI UN TORMENTO.
- Ep. #5 IL CRAVING: VINCE LUI O VINCI TU?
- Ep. #4 TANTO IO LO CONTROLLO: l’illusione di gestire il comportamento dipendente.
- Ep. #3 COSA NON FARE: se vuoi davvero uscire dalla dipendenza.
- Ep. #2 LE TRAPPOLE: smetto quando voglio, questa è l’ultima volta, ce la posso fare da solo.
- Ep. #1 CURARE LA DIPENDENZA: una premessa ed una promessa.