Psicologa Psicoterapeuta 
IL CRAVING: VINCE LUI O VINCI TU?
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IL CRAVING: VINCE LUI O VINCI TU?

IL CRAVING: VINCE LUI O VINCI TU?


Si deve cedere per forza ad un desiderio incontrollabile oppure si hanno tutte le potenzialità per avere la meglio?

Semplici parallelismi per capire cos’è il craving, e avere fiducia nella possibilità di superarlo.


“Sono ricaduto dottoressa… non so spiegare cosa mi sia successo… era da tempo che non pensavo alla cocaina e poi, all’improvviso, mi è tornata alla mente… e senza neanche rendermene conto ero a comprarla dal pusher…”.

“Io non so cosa mi succede: se vedo un centro scommesse mi sale un desiderio incontenibile di giocare… mi prende il cervello! Non ragiono più, non c’è nulla che mi possa fermare. Diventa un pensiero fisso finchè non ci entro… e a quel unto il danno è fatto…”.


Più o meno i racconti si ripetono. Che si tratti di sostanze stupefacenti, di alcool, di gioco, di cibo, o di quelle maledette telefonate fatte ad un partner verso il quale c’è una dipendenza affettiva patologica.

Ma perché succede questo? Perché chi è dentro una dipendenza descrive sempre questa dannata dinamica incontrollabile di pensieri e azioni che spingono verso quel comportamento che si vorrebbe abbandonare?

Anni di osservazioni e di studi hanno portato a definire quel brevissimo momento di desiderio impulsivo verso un oggetto o un comportamento gratificante con il termine di craving.

Facciamo un parallelismo con un esempio molto semplice, ma che credo tutti possiamo comprendere perché ci riguarda da vicino.

Il craving è una forma di appetito psicologico urgente, irrefrenabile, impellente. E’ quell’attimo in cui ci viene in mente quella tavoletta di cioccolato nella credenza, così deliziosa e appagante, da farci venire l’acquolina in bocca e i crampi allo stomaco. E mentre siamo lì che fantastichiamo quel profumo e quel sapore, la nostra mano sta già aprendo lo sportello, e pochi secondi dopo stiamo già assaporando quel cioccolato. E non pensiamo a nulla, mangiamo. E dopo, ci pentiamo.

Ma pensiamoci bene: se aprendo quella credenza scopriamo che la cioccolata non c’è più, quali sono le possibili reazioni? Immediato è un senso di frustrazione, un fastidio misto a sofferenza, una certa irritabilità. Viene spontaneo cercare da altre parti, rovistare in tutti gli armadi della cucina, ragionare rapidissimamente per ipotizzare un colpevole che l’abbia mangiata, oppure cercare un altro cibo contente cacao per soddisfare quella voglia improvvisa. Ma se niente, non c’è proprio niente che risponda al nostro bisogno, cosa può succedere? Beh, qualcuno veramente coraggioso e motivato scende al supermercato più vicino e compra una benedettissima tavoletta di cioccolata.

E qui siamo di fronte, per rientrare in tema, al cocainomane che al posto di tornare a casa dalla famiglia, oppure invece di andare all’appuntamento con gli amici, gira la macchina e va dallo spacciatore, qualsiasi giorno o ora sia. In verità, c’è anche un’altra opzione.

Dopo aver messo a soqquadro la cucina, aver fissato il muro per un po', aver accusato il fidanzato di essersi mangiato tutti i dolci in casa, quel desiderio inizia a scemare. Arrivano altri pensieri “ma sì dai, meglio che non ci sia, almeno non ingrasso”, oppure “va beh dai, tanto tra un po' si cena, mangio dopo” e contemporaneamente ci si allontana dalla cucina e si sta già facendo qualche altra cosa che concentra tutta la nostra attenzione e quindi passa il desiderio di cioccolata.

Credo che tanti abbiano vissuto una simile disavventura, e posso quindi affermare che tutti noi abbiamo toccato, almeno in modo lieve, il cosiddetto craving.

E ovvio che, quando ci si riferisce ad un craving da cocaina, cannabinoidi, gioco, o altri comportamenti a rischio, le sensazioni e i pensieri annessi sono 100, 1000 volte più forti e pervasivi. In questi casi il craving è infinitamente più potente e devastante.

Una cosa però rimane uguale, ed è il dato di fatto che il craving, come inizia, così finisce. E anche nel giro di poco tempo. 15, 30 minuti al massimo.

C’è un altro esempio che può dimostrare come il nostro corpo è programmato per affrontare il craving e superarlo.

Vi è mai capitato di non poter fare la solita pausa pranzo quotidiana, quella che si ripete sempre uguale dal lunedì al venerdì, alla stessa ora, che mette in preparazione lo stomaco circa una mezz’oretta prima, lanciando lo stimolo della fame. Immaginate di Non poter staccare da lavoro, vi sentite affamati e con un calo di energie. Se però la situazione non cambia, l’emergenza lavorativa è pressante e il pasto è ancora lontano, vi accorgerete con stupore, che ad un certo punto tutta la fame di poco prima scompare. Le energie ritornano e non c’è nemmeno più la voglia di cercare del cibo. Questo è un meccanismo adattivo, che la specie umana ha dovuto per forza sviluppare per far fronte, in epoche remote, alla mancanza di cibo.

Che cosa ci dice quindi tutto questo? Ci deve far riflettere sul fatto che un desiderio irresistibile, impellente, totalizzante (appunto il craving), quel bisogno che sembra non solo psicologico ma anche fisico, se non viene seguito e alimentato dai nostri pensieri e nemmeno dalle azioni, può diventare privo di importanza fino poi a scomparire completamente.

Parlando di tutto questo non voglio banalizzare il craving, e men che meno la disperazione e il senso di fallimento che provano le persone con un problema di dipendenza che si trovano a ricadere perché non riescono a gestirsi. La loro è una vera dura lotta in quei 15/30 minuti di incontrollabilità delle proprie azioni.

Vorrei però dare la speranza e infondere la fiducia rispetto al fatto che il craving non è qualcosa che non si può superare, è un lasso di tempo ed un susseguirsi di impulsi che si può, con le giuste strategie e un aiuto competente, affrontare con successo.

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